L’uomo prese carta e penna, appoggiò la punta della stilografica sulla carta, ma non riuscì a scrivere una sola parola.
Doveva trovare la giusta concentrazione: chiuse gli occhi e respirò profondamente.
La poesia non era cosa da poco, lo sapeva: è uno sforzo sovrumano liquefare sotto forma di inchiostro le proprie emozioni, le fantasie, i sogni.
Ogni volta che si disponeva per scrivere, il bianco del foglio virava in nero e lui imboccava un corridoio buio del quale non riusciva a vedere la fine. Iniziò a cercare le idee nel buio della mente. Sulla parete di sinistra del corridoio apparve una porta. L’immagine lo mise in apprensione procurandogli un senso di vertigine. Avrebbe voluto descrivere la sua visione ma le parole non venivano. L’urgenza di scrivere gli comprimeva dolorosamente la fronte, la mancanza di parole adeguate gli corrodeva lo stomaco. Aprì la porta e si trovò affacciato ad un balcone aperto su di una piazza affollata. Il sole splendeva alto nel cielo terso ma la moltitudine di persone era immersa nell'ombra, come coperta da una nuvola inesistente. La scena lo turbò: il vociare della folla si infrangeva contro il balcone, assordandolo con un rombo confuso, come la risacca del mare in burrasca. Non riusciva a capire cosa dicesse la folla, non riusciva a distinguere voci e parole. Parlava di lui o parlava con lui? Oppure ripeteva quello che lui aveva nella testa? Cercò di concentrarsi per cogliere qualche frase da quel mormorare profondo. Doveva arrivare ai propri pensieri per poterli scrivere, e non era sufficiente tendere l’orecchio, anche se quella gente oscura continuava, noncurante di lui, a parlare. Doveva arrivare all'origine dei quelle parole.
Il poeta aprì gli occhi e tutto gli fu chiaro. Doveva intingere la punta della penna ben dentro i propri pensieri. Non era l’udito il senso della sua poesia, bensì la vista!
Abbassò lo sguardo alla penna tra le sue dita tremanti. Rivolse il pennino della stilografica verso di sé. Lo avvicinò all'occhio destro e lo insinuò nell'ingresso morbido del canale lacrimale. Spinse delicatamente fino a far entrare la punta poi affondò la penna nell'occhio, trattenendo la nausea. Una scossa elettrica gli attraversò il capo quando la penna toccò l’osso, facendolo urlare di dolore. Esultante per essere giunto a pochi millimetri dal centro dei suoi pensieri, strinse i denti e diede un colpo secco: la stilografica sfondò l’osso orbitale infilandosi nel lobo frontale destro del cervello.
Il respiro si fece affannoso e spezzato, gli occhi lacrimavano copiosamente, accecandolo, e sentiva un filo di bava colargli dal labbro inferiore. Stringendo la penna con le poche forze rimaste, la estrasse dal proprio cranio. Faticando a trattene la felicità e a reggere la penna, ne appoggiò la punta arrossata di sangue sul foglio intatto. La mano iniziò a scorrere sul foglio mentre l’autore era scosso da risa isteriche, scoppi di pianto e conati di vomito.Ad un tratto si fermò, come se qualcosa si fosse spento dentro di lui. Il volto si fece inespressivo, i suoi occhi insensibili, e prese a fissare il nulla davanti a sé, immobile.